Le Edizioni San Marco dei Giustiniani ricordano oggi, 21 luglio, i 19 anni dalla scomparsa di Bo.
Sestri Levante, Firenze, Urbino
Nato nel 1911 a Sestri Levante, sbocciato a Firenze e radicato ad Urbino, Carlo Bo rappresenta una delle voci più autorevoli del ‘900 letterario italiano. Celebre nella sua capacità di leggere oltre alla lettura di un testo. I suoi Otto studi , pubblicati per la prima volta nel 1939 a Firenze da Vallecchi Editore e da noi ripubblicati nel dicembre del 2000, sono genitori della critica alla “nuova” letteratura.
“La parola ha una vita che si consuma sulla carta e vale per il suo margine ideale: per quest’eco che può avere nella nostra coscienza”
E’ così che Carlo Bo, scrittore, critico e saggista definisce il principio della letteratura, quel sentore primo in grado di scuotere anima e penna.
La letteratura come corpo vivo e pensante, come unica ragione d’essere è il fulcro dell’attività di critico di Bo. Lo scrittore non può scrivere per diletto o professione ma deve essere guidato da una cieca necessita, da un bisogno quasi viscerale d’espressione. Queste tesi, lette per la prima volta al Quinto convegno degli scrittori cattolici tenutosi a San Miniato nel 1938 da un Carlo Bo neanche trentenne, suscitarono nella critica del tempo e nell’Italia prossima alla tragedia bellica pareri d’ogni sorta. “Letteratura come vita” venne addirittura etichettato da alcuni come manifesto dell’ermetismo; invece Mario Alicata, autorevole critico del tempo, mosse pesanti critiche all’opera tanto da definirla “paurosamente vicina al divertissement”.

Carlo Bo e la vitalità della parola
La critica assume nelle tesi dell’autore la valenza di opera stessa, ogni atto umano è atto narrativo e la coscienza d’ogni poeta non è in nulla diversa da quella d’ogni uomo. Il trionfo del valore del linguaggio, il significato prorompente d’ogni parola e l’insaziabile ricercare dell’animo sono mezzi fondamentali per comprendere a pieno il significato ed il valore degli scritti di Bo.
“D’altronde per un letterato non c’è che un’unica realtà, quest’ansia del proprio testo verso la verità: il resto è stata materia nobile e ormai abbandonata.”
Non esiste una professione nello spirito, non esiste mestiere tanto pratico da ingabbiare l’enormità del sentire. La letteratura dev’essere atto d’amore dell’anima nei confronti dell’intelletto, azione e reazione, atto e giudizio: il valore di un testo per Bo dipende dal suo “grado di vita”, dalla sua capacità di rispettare la nostra unica realtà.
La parola non può e non deve essere marmorea, deve potere agire come perenne incremento di vitalità a chi se ne serve, deve essere mezzo per un’avventura ideologica sul fondo del linguaggio, serve a potere trovare attraverso il linguaggio stesso una primaria ragione di verità: quasi introspezione dell’introspezione. Questo convincimento è radicato nell’attitudine critica di Bo che si dona nell’assistere il poeta nella sua scommessa tra il nulla ed il tutto, la lucidità prorompente è arma primaria nella ricerca della vitalità d’un testo.
“Parlare di Carlo Bo vuol dire per me riandare ad un interlocutore primario, essenziale, nel suo dire non meno che nei suoi significative silenzi”
E’ così che Mario Luzi, in un intervista rilasciata al Secolo XIX il 22 Marzo 2001, rende omaggio all’amico Carlo Bo, unendo nella sua voce di poeta gli omaggi di tutta la poesia italiana e Genovese del tempo.