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Casa di Caprona (Giovanni Pascoli e altri)

Arrivammo a Castelvecchio passato mezzogiorno, stanchi e indolenziti per quelle più di cinque ore di carrozza che avevamo addosso; e c’era ancora un buon tratto di montata da fare a piedi per giungere alla meta. Ma la vista che già dalla strada maestra ci appariva di lei, ci dette le ali, così che lesti lesti c’inerpicammo per una viottola-scorciatoia, ripida, tortuosa e tutta a grandi sassi sporgenti, e in un volo la raggiungemmo. […] Eccoci, dunque, finalmente in campagna; ecco realizzato il sogno che Giovannino vagheggiava da tanto tempo!

Con queste parole Maria Pascoli rievoca l’arrivo suo, del fratello poeta, dell’altro fratello Raffaele e del fedelissimo cagnino Gulì alla nuova abitazione di Castelvecchio il 15 ottobre 1895. La casa di Caprona a circa 5 km da Barga era stata eretta nel XVIII secolo in un contesto paesistico pittoresco sovrastato in lontananza dalla Pania. La “bicocca”, prima in locazione e successivamente di proprietà, fu il luogo che il poeta non abbandonò più, al quale fare ritorno dopo i molti impegni di lavoro che lo trattenevano a Bologna, a Messina, a Pisa. Il poeta procedette progressivamente ad ampliamenti e ad abbellimenti che, dopo la sua morte, vennero condotti a termine dalla sorella: Giovanni vi aggiunse il loggiato interno che dà sull’orto (il cosiddetto “Colosseo”), fece restaurare l’altana e cominciò i lavori per la cappellina; Maria portò questa a conclusione facendovi realizzare al suo interno la tomba del fratello e fece costruire, davanti alla casa, l’asilo per i bambini di Castelvecchio, eretto in memoria dei compianti genitori Ruggero e Caterina.

Nelle lettere dei e ai vari corrispondenti, la casa di Pascoli non rappresenta solo lo sfondo davanti al quale accade la vita del poeta: lì egli si ricrea, lì può scrivere (sui tre tavoli del suo studio), lì può occuparsi del giardino e accogliere i pochi, selezionatissimi amici tra i quali Alfredo Caselli (il caramellaio di Lucca) e lo Zì Meo, al secolo Bartolomeo Caproni, vera autorità per i dubbi di Pascoli in merito alla linguistica locale (nonché lontanamente imparentato a un altro, e certo più celebre, Caproni destinato a divenire uno dei poeti più significativi del Novecento). Ma la casa di Caprona è protagonista, a volte anche eminente, delle ansie del poeta, dei suoi desideri e delle sue aspettative. Nelle pagine che seguono è raccolta una piccola scelta di lettere o stralci di missive, alcune delle quali inedite, che guardano da vicino la casa di Pascoli, e sono spesso capaci di restituire con la freschezza di inezie e minimi particolari la vita quotidiana di un grande poeta.

 

Giovanni Pascoli a Alfredo Caselli, Messina 4.1.1902

     […] Ma c’è, o Dio! la gran difficoltà di Castelvecchio. Il dottore non mi ha ancora risposto: segno che anch’esso non vede le cose chiare. Così, certo, io e Mariù saremmo sacrificati per sempre! […] Ora, se a Castelvecchio non ci accomodiamo, è tanto il nostro strazio che andiamo lontanetto, certo ; e quindi il disegno di far di Lucca il nostro centro artistico, sfuma. […] Nel dubbio angoscioso in cui siamo per Castelvecchio, io non posso rispondere ai tanti – amatissimi – che m’hanno scritto, che m’hanno mandato burro, coteghini, salami etc. Mi son trovata la casa piena. E il tuo cestello miracoloso ci allietò sopra tutti e ci allieta ancora. […]

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