Nei primi quattro minuti di Fanny och Alexander di Bergman il bambino, dopo aver maneggiato il mondo di carta del suo teatrino, attraversa il teatro barocco della casa. Chiama i suoi affetti/i suoi attori, ma è solo. Passa accanto alle poltrone vuote della sua casa teatro. Guardando attraverso specchi e corridoi smonta e ricompone una casa dell’immaginazione messa in abisso. Osserva il mondo fuori dal vetro ghiacciato delle favole di Andersen. Si abbandona al sogno/sonno sotto al tavolo. Questa scena iniziale, pervasa dalla riflessione sul senso del teatro, del cinema, dell’immaginazione infantile, della creatività, può essere oggi letta con occhi diversi, occhi che si stanno abituando alla casa come luogo di isolamento e spazio di confinamento: manca una porta per uscire e la finestra è l’unico schermo sul mondo fuori. Come rileggi oggi questi fotogrammi che vi hanno dato il nome? È sempre la creatività a prevalere, o nella vostra casa teatro è entrato un senso di paura, è entrato il perturbante?
Per me quelli erano già, fin dalle origini, frammenti fortemente perturbanti. E il perturbante, ti risponderei, è indissolubilmente annodato al creare.
L’inizio di Fanny och Alexander ha la potenza di uno di quei sogni ricorrenti che infestano le notti di una vita, come gli enigmi che non saranno mai davvero sciolti. La storia raccontata nel film (e nel romanzo che Bergman scrisse) è quella di una famiglia, gli Ekdahl, vista dagli occhi innocenti e visionari di due bambini, Alexander e la sorella Fanny, figli del direttore del teatro locale, Oscar. Alexander ama come suo padre il teatro e le lanterne magiche: la sua fantasia rappresenta tutto quello che vede come se fosse uno strano spettacolo, in cui immaginazione e realtà, ombre e corpi, fantasmi e presenze si mescolano. Quando la malattia porterà alla morte il padre dei bambini, Oscar, la madre di Fanny e Alexander, Emilie, sposerà Vergérus, un pastore protestante rigido e severo. Alexander e Fanny ora non hanno più il loro amato teatrino di marionette per dare libero sfogo alla fantasia, perché il severo patrigno glielo requisisce, e così traggono spunto per le loro continue rappresentazioni dalla vita reale e la vita nella canonica, in cui è avvenuto un misterioso e oscuro avvenimento poco prima del loro arrivo di cui Alexander dà la sua libera interpretazione scatenando l’ira devastante del pastore. […]
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nata il 3 dicembre 1974 a Ravenna, si laurea in lettere antiche all’Università di Bologna col massimo dei voti e la lode. Attrice e drammaturga compone testi teatrali originali e affronta più volte lavori di rielaborazione e riscrittura di testi poetici e di letteratura non solamente teatrale, approfondendo negli anni un metodo di lavoro intertestuale che passa attraverso la deflagrazione della pagina scritta per ricomporre i testi in una nuova unità poetica e narrativa coerente. Nel 1992 fonda a Ravenna con Luigi De Angelis Fanny & Alexander. Sin dagli esordi della compagnia, è direttrice artistica di Fanny & Alexander insieme a De Angelis, con cui condivide l’ideazione di tutti i progetti. Questi progetti spaziano dalla messa in scena di spettacoli, all’organizzazione di progetti culturali di ampio respiro non solo di tipo teatrale, ma anche legati al mondo dell’editoria e delle arti visive o della musica.
Nell’elaborazione dei suoi progetti drammaturgici collabora anche a più riprese con intellettuali del calibro di Stefano Bartezzaghi, Marco Belpoliti, Goffredo Fofi, Luca Scarlini, che spesso, oltre a partecipare attivamente come consulenti ai progetti del gruppo, la invitano a prender parte a progetti importanti e includono i suoi saggi nelle loro pubblicazioni e nelle riviste che dirigono.
Invita a presentare le loro opere, cercando fili che possano intrecciarsi ai percorsi letterari che nutrono la poetica del suo gruppo, autori come Victor Stoichita, Margherita Crepax, Marc Augé, Maria Sebregondi, Daniele Giglioli, Maurice Couturier, Alan Jay Edelnant, Jean Jacques Lecercle, Caterina Marrone, Antonella Sbrilli.
Spesso partecipa a convegni letterari invitata a testimoniare del suo lavoro di scrittura teatrale dentro uno dei gruppi più noti del panorama di ricerca italiano. Così avviene, tra gli altri esempi, per il convegno di anglistica dedicato a Lewis Carroll all’Università di Rennes (2003); a Venezia è chiamata a intervenire, dal gruppo della rivista Engramma, in relazione alla figura di Aby Warburg (2013); partecipa a tutte le edizioni della manifestazione Parole in Gioco diretta da Stefano Bartezzaghi ad Urbino (2006/2008); l’Università La Sapienza di Roma la chiama a tenere alcuni workshop per gli alunni del corso di storia dell’arte; è ospite ripetutamente negli anni del Lab. di Ricerca sulla Comunicazione Avanzata, Istituto di Comunicazione e Spettacolo, Facoltà di Sociologia, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, tiene conferenze sul suo metodo drammaturgico a Stavanger (Norvegia) al RogalandTeater, all’Università IUAV di Venezia, a Londra alla Royal Central Royal School of Speech and Drama; inoltre conduce negli anni seminari drammaturgici in varie Università e centri teatrali europei (Catholic University of Leuven – Belgium; Dipartimento Spettacolo del Dams di Bologna, Università di Rennes, Francia; UniversitàIUAV di Venezia; Teaterhögskolan di Stoccolma (Svezia).
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