L’esperienza di “Trasparenze a casa” si concluderà venerdì 12 giugno, dopo più di un mese di pubblicazioni regolari. In seguito renderemo disponibile un file unico con tutti gli interventi pubblicati, sempre gratuito e liberamente scaricabile. E oggi concludiamo anche questa miniserie di Piccole antologie casalinghe, con la speranza di avervi dato buoni spunti di lettura,
Raymond Carver, Da dove sto chiamando
Si è messo le galosce, le ha allacciate, poi ha indossato l’impermeabile e ha gettato un’occhiata in casa.
Vuole vederla?, ha detto. Non mi crede?
È che mi pare un po’ strano, ho risposto io.
Be’, sarà meglio che vada. Ma è rimasto lì impalato. Lo vuole o no questo aspirapolvere?
Ho guardato il valigione, ormai tutto chiuso e pronto ad andare altrove.
No, gli ho detto, mi sa proprio di no. Tanto fra poco me ne vado di qui. Mi sarebbe solo d’impaccio.
Va bene, allora, ha detto, e ha chiuso la porta.
Einar Már Gudmundsson – Angeli dell’universo
Non riesco a muovermi per ore e ore.
Grido e mi calo negli abissi della mia anima, dove ritrovo precedenti fasi della mia esistenza, come i compleanni del passato.
Corrente elettrica attraversa la stanza.
Il cuscino cerca di volare via.
Papà e mamma vogliono parlarmi. Mi chiedono di andare a tavola, mi chiedono di parlare, mi chiedono questo e quello.
Promettono di non far nulla.
Promettono di non dir nulla.
Promettono…
Ma io non rispondo. Solo, una domenica, acconsento a fare con loro un giro in auto.
Passiamo per quartieri nuovi, di grandi villini unifamiliari.
La mamma indica una delle case.
“Che strano colore”, dice.
“Già, trovo anch’io dice il papà.
Io sono seduto dietro e domando: “Mi state prendendo in giro?”
Mamma e papà si voltano meravigliati.
“Quella casa ha lo stesso colore della mia giacca”, chiarisco.
Papà e mamma si guardano.
Poi cade il silenzio.
Jean Talon, Incontro coi selvaggi
In ogni villaggio è organizzata una danza tribale con i volti dei danzatori pitturati secondo la tradizione: i turisti fotografano, qualcuno dei danzatori ride. Poi c’è la visita alla “casa degli spiriti” (che per gli indigeni non è stata costruita dagli uomini, ma è sorta dall’oceano all’origine del mondo), dove i turisti possono fotografare pagando due dollari a foto […] Loro, quelli del villaggio, proprio non capiscono per quale motivo i turisti scattino tutte quelle foto, poiché ci sono tantissime cartoline con “la casa degli spiriti” nei negozi della città, e anche i bambini quando vanno a scuola comprano quelle cartoline e le mandano ai parenti del villaggio. Secondo Camillus i turisti hanno letto di loro nei libri, e si chiedono se vivono ancora come i loro antenati o se si sono civilizzati. Allora vanno lì e trovano la casa degli spiriti, che loro usano ancora. “È per questo motivo che vengono fin qua da così lontano?”, si chiede Camillus. Su questo dice di non avere le idee molto chiare. Dice che loro, quelli del villaggio, vivono tra due mondi: quello dei loro padri che non esiste più, e quello dei turisti che però non capiscono bene e li rende confusi.
Patrizia Cavalli, Poesie (1974-1992)
Così arrivi, come sempre,
a spargere il sospetto del paradiso,
e prima ancora di aprire la finestra
ti riconosco dalla luce più lenta
dai pulviscoli sospesi e senza direzione
dalla replica ossessiva degli uccelli,
e se non fossero gli uccelli sarebbe un’altra cosa,
per ogni posto hai le tue specialità;
e quando entri e ti lascio i miei sensi
riabito case sconosciute e ho nostalgia
di cose mai avvenute. E attraverso i tuoi labirinti
sospingi addosso a me i continenti e le stagioni
e io divento la parete degli urti e dei rimbalzi
l’appoggio dove cominciano le fughe
fino al risucchio silenzioso dell’estate.
Milorad Pavić, Paesaggio dipinto con il tè
Proprio in quel momento bussai alla porta, ma nessuno rispose. Sbadigliai nascondendo la bocca col pugno, mentre sbadigliavo persi l’udito e di nuovo bussai. Silenzio come quello che c’era mentre sbadigliavo. Premetti la maniglia ed entrai nella casa di Olga. Era tutto aperto. La casa affondava come la nave. Le icone già pendevano di sbieco e le finestre si chiudevano a metà da sole. E allora nello specchio scorsi Olga e mi vennero i brividi. Stava nell’angolo della stanza e non distoglieva lo sguardo da me. La guardavo come se non l’avessi mai vista e anche lei guardava me nello stesso modo. Non mi aveva riconosciuto.
Alberto Savinio, Ascolto il tuo cuore, città
Io sono nato al tempo dei balconi a colonnette, a ringhiera, a spirali di ferro battuto. Ho anche memoria della balaustra bombeggiante, atta all’impregnata signora che desiderava affacciarsi al balcone e guardare, sotto, il corso delle vittorie e dei landò. Poiché la mia testa non superava in quel tempo la balaustra del balcone, è tra due colonnette a forma di urna che i miei occhi d’infanzia guardavano gli aranci in fiore, il mare azzurro di là dal giardino, il cielo che le cicogne navigavano a triangolo, le zampe ciondoloni e il tac tac intorno degli scheletri volanti. Se il balcone della mia infanzia lo avesse disegnato un architetto razionalista a balaustra piena, che avrei veduto di quegli spettacoli indimenticabili? […] Che ha determinato gli architetti razionalisti a riempire le balaustre dei balconi? L’orrore delle gambe forse […] o il timore che tra gli abitanti dei grattacieli si celino anche uomini liquidi, che si troverebbero al rischio di scorrere tra colonnetta e colonnetta e versarsi nella strada.
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